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La dissociazione in risposta allo stress traumatico

La dissociazione in risposta allo stress traumatico.
Alessandro Gamba
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Nel DSM-5 viene inserita, nei criteri per la diagnosi di PTSD, un’importante specifica relativa all’eventuale presenza di sintomi dissociativi. Sono frequenti infatti le osservazioni di uno sviluppo di PTSD accompagnato o seguito da dissociazione; questo dato avvalora la tesi per cui eventi psicologicamente traumatici generano il PTSD attraverso l’attivazione di processi dissociativi: “Trauma e dissociazione, in un certo senso, si definirebbero allora nella loro interazione reciproca: un trauma psicologico è tale in quanto determina dissociazione dei processi psichici” (Liotti, 2005).

Depersonalizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di sentirsi distaccato dai, e come se si fosse un osservatore esterno dei, propri processi mentali o da se stessi o del proprio corpo (per es. sensazione di essere in un sogno; sensazione di irrealtà di se stessi o del proprio corpo o del lento scorrere del tempo)

Derealizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell’ambiente circostante (per es., il mondo intorno all’individuo viene da lui vissuto come irreale, onirico, distante o distorto)

Un’ampia letteratura evidenzia la stretta relazione tra sintomi dissociativi ed eventi traumatici. La sensazione di essere distaccato dal proprio corpo (depersonalizzazione), di vivere la realtà come strana e irreale (derealizzazione), l’amnesia dissociativa, o semplicemente la riduzione di consapevolezza dell’ambiente circostante ed il distacco emozionale, sono alcuni tra i sintomi dissociativi che si possono manifestare durante e dopo il trauma. La dissociazione appartiene a uno spettro più ampio di reazioni di adattamento al trauma (van der Kolk, 2014).

La sintomatologia post-traumatica è in sostanza un’attivazione abnorme del sistema di difesa che non riguarda soltanto sintomi riconducibili alla paura/fuga (flight) e alla predisposizione all’attacco (fight) – ipervigilanza, iperattivazione neurovegetative, irritabilità, paura ed evitamento di situazioni che ricordano l’evento traumatico – ma anche stati soggettivi problematici come le memorie intrusive, il rivivere il trauma, l’ottundimento (numbing) e i deficit metacognitivi.

La dissociazione, tradizionalmente considerata una difesa, rappresenta, rivalutando l’opera di Janet, un deficit dell’elaborazione cognitiva degli affetti dolorosi e un’incapacità di assimilare gli eventi traumatici nella loro totalità (Taylor et al. 1997). Di fatto, caratteristica essenziale del PTSD sono i disturbi della memoria e i deficit di frequente riscontrati nella narrazione e nella ricostruzione autobiografica. Emozioni intense suscitate da un trauma possono interferire con l’elaborazione cognitiva dell’esperienza, così gli effetti vengono codificati a un livello sensomotorio e attivo piuttosto che in una modalità semantica e linguistica.

I sintomi di dissociazione sono una parte importante della risposta psicopatologica allo stress traumatico, implicano tipicamente un’alterazione marcata delle funzioni usualmente integrate di coscienza, memoria, identità, percezione dell’ambiente. Lanius, Vermetten, Pain (2012) hanno sottolineato l’importante rapporto tra trascuratezza emotiva (cioè indisponibilità psicologica dei genitori) e dissociazione. Nello specifico, citando due studi prospettici longitudinali, gli autori hanno visto che né l’abuso sessuale né l’abuso fisico in infanzia erano di per sé associati con dissociazione in età giovane-adulta. La trascuratezza emotiva genitoriale in infanzia e, in parte, la presenza di attaccamento disorganizzato, erano invece i due predittori più validi di dissociazione in età giovane-adulta.

Dunque, in assenza di ostacoli ai processi mentali ed interpersonali regolati dal sistema di attaccamento i traumi sono causa di dolore, ma non di esperienze dissociative durevoli (Farina, 2014). Il principale ostacolo ai processi normali di attaccamento (sicuri, organizzati) è connesso al pregresso sviluppo di un attaccamento disorganizzato (AD precoce).

A fronte di un evento traumatico il sistema di difesa (fight, flight, freeze, faint) è il primo ad attivarsi. Esso coinvolge emozioni di paura, collera e impotenza, e allo stesso tempo inibisce le capacità mentali superiori integratrici (portando a dissociazione), riflessive (portando all’alessitimia post-traumatica, cioè l’incapacità di tradurre l’evento in parole) e di costruzione di memorie autobiografiche episodiche (portando ad amnesia e intrusione di frammenti mnestici relativi al trauma). Al termine di un evento traumatico normalmente il sistema di difesa si disattiva, prevalentemente grazie all’esercizio del sistema di attaccamento (richiesta di cura, conforto, protezione e fruizione ottimale delle risposte congruenti del caregiver). Ai bambini maltrattati con attaccamento insicuro, e ancor più a quelli con attaccamento disorganizzato, è preclusa tale disattivazione perché gli è impedita di fatto l’esperienza di sicurezza. Il sistema di difesa rimane dunque attivato in modo abnormemente persistente, portando ai sintomi del PTSD. Nei bambini che hanno avuto uno sviluppo traumatico, cioè cresciuti in condizioni stabili di minaccia/grave trascuratezza a cui è impossibile sottrarsi, l’attaccamento è per definizione disorganizzato e, insieme al cumularsi dei traumi, giustifica il radicarsi dei processi dissociativi durante lo sviluppo (Farina, 2014).

La dissociazione può operare, oltre che a un livello sintomatico, a livello strutturale della personalità del soggetto (Van der Hart et al. 2011). A seguito di un trauma può avvenire una scissione all’interno della personalità, ciò avviene come “una linea di faglia” nei due principali sistemi di azione psicobiologici di origine evolutiva:

  • il sistema di difesa (che si attiva in caso di pericolo)
  • il sistema d’azione per l’adattamento della vita quotidiana (lavoro/studio/esplorazione, gioco, dormire/mangiare, + gli altri sistemi motivazionali)

Il sistema di azione per la vita quotidiana non riesce a dare un significato univoco al trauma mentre accade, ed evita, successivamente, i ricordi del trauma. Il soggetto diventa fobico verso i sentimenti e il materiale traumatico e questo atteggiamento mentale, non permette l’integrazione tra le parti e la realizzazione, sostiene la dissociazione strutturale della personalità. Questa implica una divisione tra le parti della personalità o del Sé, una parte “apparentemente adattata” e una parte “emotiva” o “traumatica” (Van der Hart et al. 2011) la quale diventa:

  • I – Evitante verso il trauma e focalizzato sulla vita di tutti i giorni (spesso anestetizzato, con fobia dei sentimenti, amnesie o altre forme di non realizzazione)
  • II – Fissato al trauma, ovvero riattualizzando e rivivendo memorie traumatiche con emozioni di sopraffazione, la sensazione di sentirsi bloccati nel tempo, sintomi intrusivi, attivazione del sistema di difesa (lotta , fuga, congelamento, collasso) (Farina, 2014)

Il soggetto, già in età evolutiva, può strutturare una personalità con “parti” dissociate, dove la seconda parte invade la prima e la prima tenta di sopprimere l’ultima.

 

Fonti e bibliografia:

 

  • Farina B., (2014), Psicoterapia Cognitiva e nuovi approcci per il trauma. Seminario CCDS/SIPSI, Roma
  • Lanius R.A., Vermetten E., Pain C. (2012) (a cura di), L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta, Fioriti, Roma.
  • Liotti G. (2005). Trauma e dissociazione alla luce della teoria dell’attaccamento. Infanzia e Adolescenza, 4, 3: 131-141. DOI: 10.1710/954.10443
  • Taylor G.J., Bagby R.M., Parker J.D.A. (1997). I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nelle malattie mediche e psichiatriche. G. Fioriti, Roma
  • Van der Kolk, B.A. (2014), Il corpo accusa il colpo. Cortina, Milano
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