Le varie forme di abuso all’infanzia
Alessandro Gamba
www.studiodipsicologia.net
I termine “abuso all’infanzia” (child abuse) si riferisce non solo alla violenza fisica e sessuale, alla quale è solitamente accostato. Infatti le forme di maltrattamento possibili sono molteplici.
Nel 1999 la “Consultation on Child Abuse and Prevention” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità affermò, con definizione poi ripresa nel Rapporto della stessa Organizzazione (WHO 2002), che “per abuso all’infanzia e maltrattamento debbano intendersi tutte le forme di cattiva salute fisica e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere”. La violenza sul minore, di qualsiasi natura essa sia, costituisce sempre un attacco profondo e destabilizzante alla personalità di chi la subisce, provocando gravi conseguenze sulla vita a breve, medio e lungo termine.
La classificazione di abuso proposta da Montecchi (Montecchi, 1994) e ampiamente adottata individua le seguenti categorie:
Maltrattamento
- fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile;
- psicologico: è forse l’abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha già determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole incremento negli ultimi anni con lo stile di vita della società consumistica e materialistica e la crisi della famiglia.
Patologia della fornitura di cure
Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non solo nella carenza di cure, ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte, considerandole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Si possono distinguere le seguenti forme
- Incuria: cioè la carenza di cure fornite (la cosiddetta violenza per omissione);
- discuria: quando le cure, seppur fornite, sono distorte ed inadeguate se rapportate al momento evolutivo del bambino;
- ipercura: quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo gruppo è compresa la sindrome di Münchhausen per procura, il medical shoppinge il chemical abuse.
Abuso sessuale.
Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende :
- abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri o padri e figli maschi, nonché forme mascherate in inconsuete pratiche igieniche; è attuato da membri della famiglia nucleare (genitori, compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti della famiglia);
- abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce spesso una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia; è attuato, di solito, da persone conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti ecc.).
A questa classificazione si può aggiungere una distinzione ancora più ampia:
- abuso istituzionale, quando gli autori sono maestri, bidelli, educatori, assistenti di comunità, allenatori, medici, infermieri, religiosi, ecc., cioè tutti coloro ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all’interno delle diverse istituzioni e organizzazioni;
- abuso da parte di persone sconosciute(i cosiddetti “abusi di strada”);
- sfruttamento sessuale a fini di lucroda parte di singoli o di gruppi criminali organizzati (quali le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, agenzie per il turismo sessuale);
- violenza da parte di gruppi organizzati(sette, gruppi di pedofili, ecc.).
Non è affatto infrequente che vengano attuate da parte di più soggetti forme plurime di abuso (ad esempio, abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fini di lucro; abuso da parte di adulti della famiglia e di conoscenti, ecc.).
Il maltrattamento presenta un quadro clinico fortemente variabile ed è un termine molto ampio sia perché comprende al proprio interno le conseguenze di due tipi di eventi, “attivi” (come la violenze fisica, psichica o l’abuso sessuale) e/o “passivi” (come la mancanza di cure adeguate), sia perché tali situazioni possono, di volta in volta, o presentarsi come isolate, o associarsi in diverso modo tra loro, determinando manifestazioni polimorfe e variabili nel tempo. D’altra parte qualsiasi tipo di maltrattamento produce una complessità di conseguenze, che vanno direttamente a minare la salute fisica e la sicurezza del bambino, ma anche il suo equilibrio emotivo e il suo sviluppo psico-relazionale, la stima di sé e il presente e futuro ruolo sociale. In questi termini il maltrattamento va considerato come una “patologia sindromica”, nella cui storia naturale sono comprese evoluzioni gravi a lungo termine, che intaccano la successiva possibilità dell’adulto maltrattato nell’infanzia di stringere legami affettivi stabili e di svolgere un competente ruolo genitoriale. Per tali ragioni la diagnosi di maltrattamento e/o abuso è quasi sempre complessa e difficile, richiede quasi costantemente la stretta collaborazione di diverse figure professionali e presuppone che i professionisti abbiano la sensibilità e l’attitudine a prevederla tra le possibili diagnosi e la preparazione tecnica per accertarla. D’altra parte, individuare le situazioni di abuso o maltrattamento è di importanza essenziale sia per la sopravvivenza fisica del bambino, sia per il suo successivo sviluppo, poiché la condizione di maltrattamento persiste fino a quando non viene realizzato un intervento terapeutico esterno: è dunque impossibile che un bambino maltrattato esca da solo da questo stato.
Per maltrattamento fisico s’intende l’infliggere intenzionalmente dolore al bambino, solitamente allo scopo di penalizzare i comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi.
Esso si riferisce a comportamenti quali: spingere, gettare sul letto, impedire di muoversi trattenendo fisicamente, colpire o cercare di colpire con oggetti, prendere per il collo, strattonare, mordere, dare schiaffi, calci, pugni, tirare e trascinare per i capelli, bruciare con sigarette parti del corpo, chiudere in una stanza, segregare in casa, buttare fuori di casa, buttare fuori di casa nelle ore notturne, impedire od obbligare a mangiare, obbligare a mangiare determinati alimenti; impedire le cure mediche; obbligare ad assumere farmaci; impedire di dormire; legare, incatenare, soffocare, minacciare con arma da fuoco o da taglio, usare armi da fuoco o da taglio, dare fuoco; uccidere.
Per quanto riguarda l’età in cui il bambino è soggetto con maggiore frequenza a sevizie, gli episodi di violenza si scatenano più facilmente nel caso di bambini molto piccoli della fascia da 0 a 3 anni, dato questo confermato anche in ricerche successive. Nel tentativo di spiegare il perché di tale concentrazione cronologica si è ipotizzato che la nascita e le prime fasi di sviluppo di un bambino rappresentino una crisi che può disorganizzare difese e sistemi adattativi consolidati e dar luogo a vere e proprie “esplosioni aggressive” che travolgono il funzionamento familiare. Inoltre quella è un’età in cui il bambino vive un periodo in cui sono più complessi i problemi di adattamento e per cui esso ha poche capacità personali di sottrarsi alle percosse o comunque di denunciare il suo abusante.
C’è da sottolineare che nel caso dell’abuso fisico non sono solo le percosse in quanto tali ad essere distruttive. Ovviamente la violenza fisica in sé stessa non è mai positiva, ma è accertato che non risulta particolarmente distruttivo il genitore che dà al figlio delle punizioni violente in un quadro di presenza sufficientemente amorevole e in un quadro di coerenza e di stabilità che consente al figlio di rendere chiaramente leggibile il comportamento genitoriale e definire dentro di sé con chiarezza i criteri del giusto e dello sbagliato. Danneggia molto di più il proprio figlio il genitore che magari non alza mai le mani sul figlio, ma le cui interazioni quotidiane sono caratterizzate da assenza emotiva, indifferenza, incoerenza, rifiuto.
Il maltrattamento psicologico è stato trattato estesamente in un altro articolo (link).
Per quanto riguarda la patologia delle cure, l’elemento centrale è l’inadeguatezza delle cure, per cui possono esistere diversi tipi di patologia:
- incuria: quando le cure sono latenti; si parla di incuria quando le persone legalmente responsabili del bambino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni sia fisici che psichici in rapporto all’età e al momento evolutivo. Rientrano quindi nella categoria dell’incuria anche quei casi in cui i genitori, pur occupandosi dei bisogni nutrizionali del figlio, non rispettano i suoi bisogni affettivi, emotivi e di socializzazione. Si possono avere, quindi, diversi gradi di questo tipo di abuso, che vanno dall’abbandono al disinteresse per i bisogni emotivi del bambino.
- discuria: quando le cure sono distorte; è la distorsione della prestazione della cura; in realtà le cure vengono effettuate, ma non sono adeguate al momento evolutivo. In queste situazioni, di solito, i genitori caricano il figlio di proprie aspettative, che sono quasi sempre quelle che un tempo erano i loro desideri. Il bambino è “normale” per i genitori solo (o quasi sempre) quando il suo comportamento coincide con le loro aspettative, laddove queste ultime sono spesso il volerlo il più possibile simile all’immagine che essi hanno, o hanno avuto, di se stessi o del proprio ideale. Tutto questo porta tali genitori ad ignorare i veri bisogni del bambino, appropriati alla fase evolutiva che sta attraversando. Quando il bambino viene considerato come una proprietà su cui realizzare determinati scopi, la sua crescita vitale subisce una violenta interruzione.
- ipercura: quando le cure sono eccessive. Rientrano in tale categoria tutti i casi in cui i genitori offrono “cure” eccessive al loro figlio. La forma più importante è la sindrome di Münchhausen per procura, una particolare forma di abuso nella quale un genitore (in genere la madre), sottopone il proprio figlio a continue visite mediche, accertamenti e cure inopportune per sintomi o malattie da lei inventati o indotti. Si tratta spesso di madri che presentano gravi disturbi psichici, quali ad esempio una personalità paranoide o addirittura psicotica e che instaurano col figlio una relazione patogena caratterizzata dallo spostamento su di lui delle proprie gravi ansie e preoccupazioni patologiche. Nel caso delle patologie delle cure molto spesso i genitori sono ignari dell’abuso che stanno esercitando, spesso anzi pensano di agire per il bene dei propri figli e delle proprie figlie e inconsapevolmente possono causare danni maggiori.
Per abuso sessuale si intende il coinvolgimento agito da parte di adulti in attività sessuali con soggetti immaturi e dipendenti, quindi privi di una completa consapevolezza e/o possibilità di scelta, violando tabù familiari o differenze generazionali (Montecchi, 2011). A seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante, si parla di abuso sessuale intrafamiliare se l’abusante è un familiare (padre, madre, fratelli e sorelle, zii, nonni, cugini); si parla invece di abuso sessuale extrafamiliare se l’adulto è una figura estranea al nucleo familiare (sconosciuti, conoscenti, baby-sitter, vicini di casa, insegnanti, bidelli, religiosi, amici di famiglia ecc.). Perché si configuri un abuso sessuale, non è necessario che si tratti di atti sessuali completi, essendo comprese anche attività quali carezze e toccamenti continuati e ripetuti nel tempo, in cui il minore assume il ruolo di oggetto di soddisfazione sessuale da parte dell’adulto. Nell’ambito degli abusi sessuali intrafamiliari si possono distinguere ulteriormente tre diversi sottogruppi: gli abusi sessuali manifesti (ad esempio sfruttamento sessuale e/o pornografia); gli abusi sessuali mascherati, quali le pratiche genitali inconsuete e l’abuso assistito. C’è da dire che la rilevazione e l’accertamento di un fatto di abuso sessuale è un’operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba intendersi per “abuso sessuale”. In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una materia così fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata.
Ogni abuso sessuale avviene sempre all’interno di una relazione non paritaria, in quanto il minore si trova in una posizione di inferiorità fisica, psichica e di potere rispetto all’adulto, che nessun adattamento passivo, scambiato per consenso, può annullare o ridurre. Gli atti in oggetto sono volti all’eccitazione e alla gratificazione sessuale dell’adulto/a, compresi quelli che avvengono senza contatto fisico e indipendentemente dall’uso della forza fisica. Per quanto riguarda gli indicatori di abuso sessuale, spesso richiesti nei casi di valutazione peritale, questi non sono sufficientemente specifici per cui non si può prescindere da ulteriori indagini nel valutare e identificare la natura della violenza. Non vi sono oggi fortunatamente più dubbi sul fatto che l’incesto, in tutte le sue manifestazioni, anche quelle più raffinate e sottili (che sono poi quelle che creano forme di dipendenza psicologica), quando ha come referente un minore, è in modo assoluto una forma di violenza con effetti permanenti e irreversibili.
Eppure sembra incredibile che solo 50 anni fa, il Comprehensive Textbook of Psychiatry di Freedman e Kaplan (1974) affermava: “l’incesto è estremamente raro, e non avviene in più di 1 su 1,1 milioni di persone” (Henderson, p.1536). Van der Kolk (2014) denuncia che questo importante testo di psichiatria addirittura riportava che: “una tale attività incestuosa diminuisce la possibilità di psicosi del soggetto e consente un miglior adattamento al mondo esterno […] nella grande maggioranza dei casi, non si sta peggio a causa di una simile esperienza”, finendo quasi per lodare i possibili effetti benefici dell’incesto sui minori.
La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell’impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio “gentile”) ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l’immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di strumenti, potere e autorità rispetto all’adulto, sono nell’impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L’abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall’adulto, anche quando non c’è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall’abuso stesso.
Il danno è tanto maggiore quanto più:
- l’abuso resta sommerso e non viene individuato;
- l’abuso è ripetuto nel tempo; o la risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare o sociale ritarda;
- il vissuto traumatico resta non espresso o non elaborato;
- la dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima ed il soggetto o abusante è forte;
- il legame tra la vittima ed il soggetto abusante è di tipo familiare.
Distinguere le varie forme di maltrattamento all’infanzia può essere utile per fini esemplificativi, ma l’esperienza clinica e le ricerche longitudinali (Felitti et al. 1998) rilevano che il bambino è più frequentemente vittima di costellazioni maltrattanti multiformi, che oltre a comportare conseguenze dannose e persistenti sullo sviluppo, tendono a strutturarsi in deficit in adolescenza e a cronicizzarsi in età adulta. Ciò che accomuna tutte queste esperienze avverse, e che rende complesso differenziare la ricaduta psicologica sul bambino in termini di disagio o di sviluppo di una sintomatologia, è il fatto che possono determinare una “distorsione traumatica nei processi di attaccamento, base della futura personalità” (Malacrea, 2010).
Tuttavia sembra possibile articolare le violenze in due gruppi, seppur in parte sovrapponibili:
- un primo in cui domina l’abuso sessuale strettamente associato a trascuratezza, maltrattamento psicologico e, in alcuni casi, a maltrattamento fisico
- un secondo gruppo in cui domina il maltrattamento fisico, associato a trascuratezza e a maltrattamento psicologico.
L’attenzione alle dinamiche evolutive delle relazionali familiari indica poi una progressione, un aggravamento e un moltiplicarsi dei maltrattamenti e degli abusi nel tempo, suggerendoci una sorta di processualità che inizia con difficoltà coniugali, conflitti e violenza domestica che via via inducono cronicità e aggravamento della crisi che si estende ai figli nelle forme di trascuratezza grave e/o di violenza fisica. Studi specifici (Mc Guigan e Pratt, 2001) hanno individuato nella “violenza domestica” una condizione che – se presente nei primi sei mesi di vita del bambino – rappresenta un fattore di rischio predittivo che, nei successivi primi cinque anni di vita del bambino, triplica la incidenza di maltrattamento fisico e raddoppia quella di maltrattamento psicologico e/o di trascuratezza. Sappiamo anche che un altro fattore significativo è la durata della violenza che, nella gran parte dei casi, è tale da declinarsi non tanto e non solo in chiave di comportamenti sporadici o di interazioni esplosive acute e momentanee, ma piuttosto come vere e proprie relazioni stabili e durature nel tempo che contrassegnano l’esistenza dei bambini per anni e, soprattutto, negli anni più importanti e formativi. Fare esperienza ripetuta di maltrattamento mina l’aspettativa del bambino, appropriata dal punto di vista dello sviluppo e mediata biologicamente dal sistema di attaccamento, secondo la quale i genitori sono disponibili e capaci di proteggerlo. In realtà, nei casi di abuso intrafamiliare (i più frequenti in assoluto) sono i caregiver stessi a diventare fonte di pericolo piuttosto che fonte di protezione. Il senso del Sé e il senso di fiducia nei confronti degli altri si permeano di paura, rabbia, sfiducia e ipervigilanza, risposte che sono in contrasto con gli sforzi volti a ricercare la vicinanza e la sicurezza con il genitore.
Una grave mancanza di protezione (fisica ed emotiva) da parte dei genitori o maltrattamenti e abusi precoci e continui costituiscono esperienze traumatiche in quanto determinano per il bambino esperienze ripetute di minaccia da cui è impossibile sottrarsi. Quando è il genitore stesso la fonte di minaccia e pericolo o quando si assiste al fallimento della protezione del bambino si determina infatti ciò che Main e Hesse (1990) definiscono una situazione di “paura senza sbocco”, riflesso di un’interazione con un genitore gravemente trascurante, maltrattante, dissociato o semplicemente spaventato, che impedisce al bambino di organizzare in maniera coerente i normali comportamenti di attaccamento (Liotti, 2005; Main e Hesse, 1990). Condizioni di pericolo nella relazione con il caregiver, soprattutto se ripetute durante l’infanzia e l’adolescenza (o non mitigate da particolari fattori di protezione), determineranno, con molta probabilità, uno sviluppo traumatico e una vulnerabilità a diverse forme di patologia sia fisica e sia psicologica, in particolare per quanto concerne la dimensione dissociativa.
Mentre l’abuso fisico e sessuale sono stati oggetto di molti studi e al centro di numerosi interventi istituzionali, il maltrattamento psicologico – essendo di più difficile individuazione e riconoscibilità – necessita tuttora di ulteriore attenzione da parte delle varie discipline interessate (pedagogia, psicologia clinica e psicologia forense, diritto dei minori). Dall’analisi della letteratura effettuata infatti è emerso che questa forma di abuso all’infanzia ha ricevuto meno attenzione rispetto alle altre e questo sembra essere derivato da alcuni elementi, tra cui l’estrema variabilità delle definizioni (basate sugli esiti o sui comportamenti abusanti) e i limiti inerenti gli strumenti di misurazione del costrutto.
Fonti e Bibliografia:
- Felitti V.J., Anda R.F., Nordernberg D. et al. (1998), Relationship of Childhood Abuse to many of the Leading Causes of Death in Adults: The Adverse Childhood Experiences (ACE) Study, Am. J. Prev. Med., 14 (4), pp. 245-258
- Freedman A.M, Kaplan, H.I. (1974), Comprehensive Textbook of Psychiatry, 2nd edn. Baltimore, MD: Williams & Wilkins.
- Liotti G. (2005). Trauma e dissociazione alla luce della teoria dell’attaccamento. Infanzia e Adolescenza, 4, 3: 131-141. DOI: 10.1710/954.10443
- Main M., Hesse E., (1990), Parents’ unresolved traumatic experiences are related to infant disorganized attachment status: Is frightened and/or frightening parental behavior the linking mechanism? In Greenberg M.T., Cicchetti D., Cummings E.M.,Attachment during the preschool years: Theory, research and intervention. 161-182. University of Chicago Press, Chicago.
- Malacrea M. (2010), Esperienze sfavorevoli infantili: la cura, in CISMAI, Crescere senza violenza, politiche, strategie e metodi, Supplemento al n.1/2010 di Animazione sociale, Torino.
- McGuigan WM,Pratt CC (2001), The predictive impact of domestic violence on three types of child maltreatment. Child Abuse Negl. 2001 Jul;25(7):869-83.
- Montecchi F., (1994),Gli abusi all’infanzia: dalla ricerca all’intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma
- Montecchi F., (2011), Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in famiglia: prevenzione, rilevamento, trattamento. F.Angeli, Milano